Rompere un muro è senz’altro difficile.
Fare un buco in un muro di prigione è ancora più difficile.
Pensando alle rotture m’è tornata in mente la galera. Gli anni passati nella sconfitta, nel crimine che ci era attribuito per aver portato avanti un attacco al regime capitalista, quel muro che ci chiudeva dentro, tanto asfissiante quanto quello che avevamo, fuori, tentato di rompere.
C’è stato tuttavia un momento nel quale ho rotto il muro – un semplice buco – ho pensato di averlo fatto, di esserci riuscito. Non a buttarlo giù, quel muro maledetto, ma a romperlo… un buco per vedere al di là la libertà. Che botto di luce. Mi ero messo a studiare Spinoza ed avevo trovato la forza di resistere, senza negare il passato, anzi rivendicandolo ed affermando la forza costruttiva dell’intelletto agente. Ottimismo della ragione in una situazione dove il blocco della volontà ti è imposto dalla galera.
Ma che botto di luce da quel buco, da quel rompere.
Basta cominciare, tutto il resto viene.
Ma bisogna cominciare a rompere, come noi facemmo in un altro secolo, tanti anni fa.

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