Articolo di Jacopo Rosatelli 

29/10/2019

«Siamo qui perché il manifesto deve continuare a esistere», a dirlo più esplicitamente di tutti è Giangiacomo Migone. Meglio non darlo per scontato, nemmeno se ci si riunisce per celebrarne la nascita, 50 anni fa, in forma di rivista. Come è accaduto a Torino, nei gloriosi «infernotti» dell’Unione culturale, la scorsa settimana: una sala stracolma per ascoltare due protagonisti di quell’impresa, Luciana Castellina e Filippo Maone, e molti altri che si unirono strada facendo. Operai, in particolare. Quelli che animarono la grande stagione di «democrazia organizzata» dei consigli di fabbrica, come Corrado Montefalchesi, che fu poi consigliere regionale del Pdup, portatori di un sapere politico radicato nell’esperienza della grande industria, delle lotte per le pause, la mensa, il controllo della produzione. Una fase in cui si tradusse in pratica l’intuizione che era già del trentenne Lucio Magri nel ’62, quando ragionava delle tendenze del neocapitalismo individuando – contro la destra comunista di Giorgio Amendola – nelle rivendicazioni qualitative, e non meramente quantitative, il terreno più promettente per l’iniziativa di classe.

Il capitalismo si trasforma continuamente, si sa. E l’esperienza di ieri può servire all’oggi, alla riflessione e all’iniziativa di chi si pone il problema delle nuove delle nuove modalità di estrazione di valore dal lavoro umano, quelle forme di sfruttamento attraverso gli algoritmi. Alle quali si deve oporre, ora come allora, un’alternativa organizzata, fatta di idee, di mobilitazioni, di strutture. Compito immane e difficilissimo, ma chi ha riempito la sala torinese pensa che il manifesto serva a questo scopo. E proprio il capoluogo piemontese – ha osservato Rocco Albanese, ricercatore precario – è un luogo particolarmente interessante: ex capitale fordista in crisi d’identità, ora sembra averla trovata nell’innovazione da smart city, la «città intelligente» che unisce il millenarismo tecnologico dei grillini – è torinese ministra dell’innovazione Paola Pisano – e il fiuto per gli affari dei soliti noti. Serve chi analizzi e racconti questi processi, tanto oscuri quanto spacciati per intrinsecamente positivi, come quelli in cui il potere economico chiama «progresso» la devastazione ambientale. Impossibile, a Torino, non evocare la Val di Susa – terra di frontiera presente spesso su queste colonne.

Nella sala l’affetto per il manifesto è tanto, c’è interesse a coltivarne storia e memoria – particolarmente preziose le testimonianze di Gianni Montani e Leo Casalino. Ma, per fortuna, si vuole anche lottare per il suo futuro: finito l’incontro, fra saluti e abbracci, le magliette della campagna iorompo sono andate a ruba.

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